Valutazione del rischio di esposizione a illuminazione LED

Uno studio dell’agenzia francese ANSES ha messo in evidenza i possibili rischi dell’illuminazione LED fornendo così le basi per la normativa di riferimento.

Una base importante per L’utilizzo della tecnologia dei LED (acronimo dell’inglese Light-emitting diodes, ovvero diodi ad emissione di luce) si sta diffondendo sempre più nel campo dell’illuminazione di ambienti, sia esterni che interni, sia privati che pubblici. Grazie al suo particolare rapporto tra il flusso luminoso emesso dalla sorgente LED e la potenza assorbita, i LED offrono un’elevata efficienza luminosa in termini di performance e di risparmio energetico.

Come tutte le fonti di illuminazione artificiale, anche quella a LED è stata oggetto di diversi studi che ne hanno evidenziato gli effetti sulla salute e che hanno avuto un importante ruolo nella stesura della normativa di riferimento.

Gli effetti sulla salute

A differenza delle lampade emittenti radiazione UV, la luce emessa dalle lampade per l’illuminazione di ambienti non presenta generalmente problemi sanitari per quanto riguarda la cute. La sola eccezione è costituita dalle reazioni cutanee da fotosensibilizzazione, generalmente dovute alla radiazione ultravioletta, che in alcuni casi possono essere prodotte anche dalla radiazione visibile in pazienti che assumono particolari farmaci, detti appunto fotosensibilizzanti. Le lampade a LED presentano alcune caratteristiche particolari dal punto di vista dei possibili rischi per la salute. Sono infatti caratterizzate da un’elevata radianza e da uno spettro di lunghezze d’onda fortemente spostato verso la regione blu dell’intervallo spettrale del visibile.

L’elevata radianza aumenta la probabilità di abbagliamento, ovvero una riduzione della funzionalità visiva, che può essere debilitante o fastidioso, mentre la radiazione visibile di colore blu-violetto può causare quello che comunemente viene definito danno da luce blu, che colpisce soprattutto la retina.

Ma la problematica specifica delle lampade LED è stata esaminata anche da un gruppo di lavoro riunito dall’agenzia francese ANSES (Agenzia nazionale per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione, dell’ambiente e del lavoro). Tra i risultati ottenuti dal gruppo di lavoro, tre sono di particolare interesse per quanto detto in precedenza.

Rischi connessi ad una luminanza troppo elevata. Alcuni LED di un solo watt di potenza disponibili per l’utilizzo domestico danno luogo a luminanze superiori a 10 milioni di candele al metro quadrato che può determinare un rischio concreto di abbagliamento per gli osservatori. Non risulta quindi accettabile la commercializzazione di dispositivi a base di LED per l’illuminazione domestica che non permettano siano tali da schermare la vista diretta degli stessi LED da parte degli utilizzatori.

Rischi connessi alla luce blu. Nel corso dello studio, sono stati effettuate misure sperimentali di un certo numero di dispositivi a LED, comunemente disponibili sul mercato con lo scopo di classificarli secondo i gruppi di rischio previsti dalla norma europea EN 62471:2008. È risultato che alcuni dispositivi LED più utilizzati per l’illuminazione domestica appartengono al gruppo 2, ovvero al gruppo di rischio moderato. Inoltre, è stato sperimentato – e quindi ribadito – che la componente blu delle luci a LED risulta tossica per le cellule della retina le quali subiscono un forte stress ossidativo quando esposte a questa luce. Il livello di rischio dipende dall’esposizione cumulata cui è sottoposta la persona nel tempo. Non esiste una soglia minima di tollerabilità e l’effetto negativo aumenta in modo tangibile nei soggetti sensibili che presentano patologie degli occhi, che sono sottoposti ad esposizioni ripetute, per professionisti che devono lavorare con illuminazione ad alta intensità, per soggetti fotosensibili e per i bambini.

Individui della popolazione particolarmente a rischio. A conclusione dello studio, sono state identificate categorie di persone particolarmente a rischio o che per particolari caratteristiche oftalmiche sono più sensibili al danno. Tra le prime sono stati identificati i bambini (il cui cristallino, soprattutto prima degli 8 anni di età, filtra poco la luce blu), le persone prive del cristallino naturale, quelle affette da alcune patologie retiniche e chi assume farmaci fotosensibilizzanti.

Particolarmente esposti sono invece i lavoratori addetti in particolari settori di attività. Tra questi gli installatori di impianti per l’illuminazione, i lavoratori dell’industria dello spettacolo, gli addetti ai controlli di qualità in particolari industrie, il personale di sala operatoria, gli addetti alla fototerapia, gli addetti a particolari trattamenti estetici.

Le raccomandazioni proposte dal gruppo di lavoro riguardano quindi l’utilizzo e la diffusione dei dispositivi LED.

  1. limitare la possibilità di mettere sul mercato lampade LED ad uso domestico, o comunque accessibili alla popolazione generale, ai LED appartenenti ai gruppi di rischio 0 e 1, limitando l’utilizzo di LED appartenenti ai gruppi di rischio superiori agli usi professionali;
  2. i fabbricanti dovrebbero ideare dei sistemi che non permettano la visione diretta del fascio luminoso emesso dai LED, al fine di evitare i rischi connessi all’abbagliamento;
  3. proteggere in modo specifico i bambini e le altre categorie particolarmente sensibili al rischio, per esempio vietando l’utilizzo di sorgenti di luce emittenti una forte componente blu (per esempio la lampade a “luce fredda”) nei luoghi frequentati dai bambini o nei giocattoli;
  4. definire dei mezzi di protezione adeguati per i lavoratori particolarmente esposti; e) prevedere un’etichettatura relativa alle caratteristiche dei LED, in particolare il gruppo di rischio, anche ai fini dell’informazione per i consumatori;
  5. nel caso di gruppo di rischio superiore a 0, valutare una distanza di sicurezza oltre la quale non è presente un rischio fotobiologico, e notificarla in maniera leggibile ai consumatori».

La normativa

Sulla base delle considerazioni esposte dal gruppo di ricerca dell’ANSES, la Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP) ha inserito nelle linee guida che definiscono i limiti di esposizione alle radiazioni ottiche anche i danni da luce blu. I limiti fissati dall’ICNIRP sono stati recepiti nella direttiva 2006/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (radiazioni ottiche artificiali), e sono stati di conseguenza recepiti a livello nazionale nel D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (Capo V del Titolo VIII).

Da parte sua, anche l’Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto che la relazione tra possibili problemi per la salute umana e la diffusione delle lampade LED sia rilevante anche per l’Italia. Pertanto, intende promuovere un approfondimento tecnico-regolatorio affinché nel nostro paese vengano applicate raccomandazioni analoghe a quelle contenute nel rapporto dell’ANSES.