Il 2 luglio 2025 il Ministero del Lavoro ha sottoscritto con le parti sociali un protocollo per affrontare gli effetti delle condizioni climatiche estreme sui luoghi di lavoro, con l’obiettivo di prevenire rischi per la salute di lavoratrici e lavoratori, specialmente nei contesti più esposti. Il documento riporta l’attenzione su un tema spesso sottovalutato ma centrale per la sicurezza e il benessere quotidiano: il microclima.
Alla luce delle normative vigenti, quali misure devono adottare le imprese per garantire ambienti salubri e sicuri?

Microclima: cos’è e come influenza i luoghi di lavoro
Il microclima è l’insieme dei parametri ambientali e individuali che influenzano lo scambio termico tra l’organismo umano e l’ambiente circostante.
Temperatura dell’aria, umidità relativa, velocità dell’aria e temperatura radiante sono i principali parametri che, insieme a fattori individuali come l’attività metabolica e l’abbigliamento, determinano il cosiddetto benessere termico. In condizioni ottimali, indicate come comfort termico, il lavoratore non percepisce caldo né freddo. In ambienti sfavorevoli, al contrario, si possono verificare stress termici, con conseguenze negative su salute, sicurezza e produttività.
Microclima e rischio fisico: cosa dice la normativa
La normativa identifica il microclima come un agente di rischio fisico da valutare obbligatoriamente nei luoghi di lavoro.
Il Decreto Legislativo 81/2008, all’art. 180, include il microclima tra i rischi fisici, obbligando il datore di lavoro ad effettuarne la valutazione. Sebbene non esista un capo specifico dedicato a questo rischio, le disposizioni del Titolo VIII si applicano anche al microclima. In particolare, l’art. 181 stabilisce che la valutazione dei rischi deve tenere conto della natura, del livello e della durata dell’esposizione, nonché delle condizioni ambientali e individuali dei lavoratori. Inoltre, l’Allegato IV stabilisce requisiti ambientali generali per i luoghi di lavoro, tra cui:
- temperatura adeguata, in relazione all’attività svolta e allo sforzo fisico richiesto;
- controllo del grado di umidità e di ventilazione;
- assenza di sbalzi termici;
In generale, l’obiettivo è quello di evitare condizioni che possano compromettere il benessere psico-fisico del lavoratore.
Classificazione degli ambienti di lavoro
Non tutti i luoghi di lavoro sono uguali: per valutarne correttamente il rischio microclimatico, occorre distinguerli mediante una specifica classificazione, che consente di definire strategie e misure adeguate per ciascuno di essi, sia in base alla severità delle condizioni climatiche, sia alla possibilità effettiva di modificarle.
La prima distinzione riguarda il livello di severità del microclima:
- Ambienti moderati: le condizioni termiche consentono, nella maggior parte dei casi, di raggiungere il comfort termico (es. uffici, laboratori e locali climatizzati).
- Ambienti severi (caldi o freddi): le condizioni ambientali sono tali da poter causare uno stress termico, compromettendo la salute dei lavoratori (es. celle frigorifere, fonderie, cantieri all’aperto).
La seconda distinzione è relativa alla possibilità tecnica di intervenire sulle condizioni ambientali:
- Ambienti termicamente moderabili: è possibile intervenire per migliorare le condizioni microclimatiche, ad esempio con impianti di ventilazione, climatizzazione o deumidificazione.
- Ambienti termicamente vincolati: è impossibile o poco praticabile intervenire per modificare le condizioni climatiche, per motivi strutturali o operativi.
A seconda della categoria dell’ambiente, la normativa tecnica di riferimento prevede delle differenziazioni:
- per ambienti moderati, si applica la UNI EN ISO 7730, basata sugli indici PMV/PPD;
- per ambienti severi caldi, si applica la UNI EN ISO 7933 (metodo PHS);
- per ambienti severi freddi, si adotta la UNI EN ISO 11079 (metodo IREQ).
Il protocollo per le emergenze climatiche e il rischio microclimatico
Con la firma del protocollo quadro del 2 luglio 2025, le istituzioni e le parti sociali hanno stabilito misure condivise per prevenire i rischi legati agli eventi climatici estremi. Il documento invita le aziende a valutare il rischio microclimatico alla luce dei cambiamenti ambientali, sia negli ambienti indoor inadeguati che nei contesti outdoor.
Tra le misure suggerite:
- monitoraggio delle condizioni meteorologiche tramite fonti ufficiali;
- formazione e informazione dei lavoratori;
- riorganizzazione dei turni o sospensione delle attività nelle ore più calde;
- predisposizione di aree ombreggiate e pause aggiuntive;
- fornitura di DPI idonei (es. abbigliamento tecnico, idratazione, protezioni).
Il protocollo sottolinea inoltre il ruolo della contrattazione collettiva per adattare le misure a livello aziendale, promuovendo un approccio sostenibile e bilanciato tra esigenze produttive e tutela della salute.
Come si valuta il rischio climatico nei luoghi di lavoro
Una corretta valutazione è il primo passo per proteggere la salute dei lavoratori e garantire la conformità normativa.
La valutazione del microclima si effettua tramite strumenti certificati che misurano i parametri fisici e ambientali. Deve essere ripetuta ogni quattro anni, durante la stagione invernale e quella estiva, tenendo anche conto dei soggetti più sensibili al rischio microclimatico, cioè donne in gravidanza, minori, persone con patologie croniche e persone sotto terapia farmacologica.
I risultati delle misurazioni devono essere documentati nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), costituendo la base per eventuali interventi correttivi. Inoltre, è necessario aggiornare la valutazione ogni qualvolta si intervenga in maniera significativa negli ambienti di lavoro, nei processi produttivi o nell’organizzazione di attività che possono alterare le condizioni microclimatiche.
Prevenire e proteggere: come garantire un microclima adeguato
Le principali misure da adottare includono:
- installazione e manutenzione di impianti di riscaldamento, raffrescamento e ventilazione;
- regolazione di temperatura e umidità ambientale;
- posizionamento strategico delle postazioni di lavoro;
- fornitura di DPI termici (es. tute ignifughe o termoisolanti);
- adozione di sistemi che riducono lo scambio termico con l’esterno (porte a barriera, filtri d’aria);
- distribuzione di acqua potabile e programmazione di pause adeguate;
- formazione e sensibilizzazione dei lavoratori sul tema.
Nel caso in cui non fosse possibile mettere in atto interventi strutturali, è fondamentale ridurre l’esposizione dei lavoratori al rischio e garantire adeguata protezione.
Sanzioni previste in caso di inadempienza
La mancata valutazione del microclima espone il datore di lavoro a sanzioni economiche e penali.
La legge prevede sanzioni da 3.000 a 15.000 euro e, nei casi più gravi, la reclusione fino a otto mesi per il datore di lavoro. Oltre a essere un obbligo legale, la valutazione del microclima è un investimento sulla salute dei dipendenti e sulla reputazione aziendale. Una corretta gestione consente di prevenire eventuali contestazioni da parte degli organi di controllo e rafforza la fiducia interna verso l’impresa.
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