La responsabilità civile del datore di lavoro in caso di infortuni o malattie professionali.
Come emerso dai dati INAIL presentati a Roma il 22 giugno scorso, il 2015 ha visto un notevole calo degli infortuni. Una buona notizia, smorzata però dal fatto che continuano a rimanere alti i numeri di quelli con esito mortale e delle denunce di malattie professionali. Una situazione altalenante, che dimostra quanta strada debba ancora fare la formazione e l’applicazione delle regole della sicurezza sul lavoro in Italia.
Di un argomento complesso come questo, la legislazione vigente tratta però in maniera chiara la questione della responsabilità civile del datore di lavoro. La responsabilità, in caso di incidenti, non è infatti sempre chiaramente individuabile e per far sì che il lavoratore danneggiato riceva sempre il giusto indennizzo, la legge analizza molte delle variabili in gioco.
La legge sugli infortuni professionali (DPR n. 1124 del 1965), per effetto dell’operatività della copertura assicurativa INAIL, prevede l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile e dal risarcimento del danno subito dal lavoratore in caso di infortunio o di insorgenza di malattia professionale. Con la sentenza della Corte di Cassazione del 24 febbraio 2006, n. 4184, sono stati però posti margini di definizione più chiari: per far valere il diritto all’esonero, il datore deve dimostrare di avere adottato tutte le cautele e le misure atte ad evitare il danno subito dal lavoratore. In caso queste condizioni siano state rispettate, al lavoratore infortunato, beneficiario dell’assicurazione, l’INAIL corrisponde l’indennizzo al posto del datore di lavoro.
Tuttavia, in caso di procedimento penale a carico del datore di lavoro o di suoi incaricati, in merito all’evento a causa del quale sia stato corrisposto l’indennizzo è riconosciuta sia per il lavoratore che per l’INAIL stessa la facoltà di costituirsi parte civile. Se l’indennizzo dell’INAIL non copre l’intero risarcimento civilmente dovuto all’infortunato, il datore di lavoro risultato penalmente responsabile e deve così risarcire al proprio dipendente quella parte di danno non coperta dalla assicurazione, il danno differenziale.
L’INAIL è però legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale anche contro il datore di lavoro imputato di omicidio colposo o lesioni personali gravi e gravissime. In virtù del diritto di regresso riconosciuto dall’art. 10 del DPR 1124 del 1965 nei confronti del datore di lavoro penalmente responsabile, è possibile chiedere il rimborso delle prestazioni erogate all’infortunato. In caso di infortunio o malattia professionale senza decesso, invece, l’azione penale per lesioni colpose gravi o gravissime è legata alla prognosi secondo le seguenti procedure:
- le prognosi che superano i 30 giorni provocano l’attivazione, per lo più ad iniziativa dell’ INAIL, dell’ inchiesta amministrativa della Direzione provinciale del lavoro, il cui verbale viene inviato al Pubblico Ministero;
- le prognosi fino a 40 giorni possono far scattare l’azione penale solo a querela dell’interessato;
- oltre i 40 giorni l’eventuale azione penale viene promossa d’ufficio dal Pubblico Ministero.
La responsabilità del datore di lavoro per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore è esclusa solo in caso di dolo del lavoratore o di rischio c.d. elettivo, cioè derivante da una attività che non abbia rapporto con lo svolgimento dell’attività o che esorbiti in modo irrazionale dai limiti di essa. Questo secondo la sentenza della Corte di Cassazione N. 6377 del 2003.
La responsabilità, invece, non è esclusa nel caso di concorso di colpa del lavoratore: in caso di infortunio sul lavoro la concorrente condotta colposa del lavoratore è priva di qualunque effetto nei confronti dell’INAIL, anche ai fini della rivalsa avverso il datore di lavoro. Essa tuttavia deve essere valutata al solo fine di stabilire se il risarcimento dovuto al lavoratore debba essere ridotto in maniera corrispondente (cass. Civ. n. 2263\2005 e 5239\2005).
Pertanto, per non incorrere in cause di responsabilità civile e penale, il datore di lavoro deve poter sempre dimostrare una corretta gestione ed applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Attraverso l’aggiornamento costante del documento di valutazione dei rischi con relazioni tecniche attestanti i fattori di rischio specifici, l’adozione delle procedure di formazione ed informazione dei lavoratori, la corretta distribuzione e il puntuale controllo circa l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali e, qualora necessaria, l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, il datore fa quanto in suo dovere.
Ultimo punto, ma non meno importante, particolare attenzione deve essere dedicata alla stesura delle relazioni tecniche: rumore, vibrazioni, agenti chimici, agenti biologici, stress lavoro-correlato. In questo modo, il datore di lavoro dimostra di non aver sottovalutato i fattori di rischio e di aver valutato, attraverso un attento studio del ciclo di produzione, l’esposizione al rischio del lavoratore.